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Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 06/04/2004
Giudice: Strozzi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 158/04
Parti: FABI / Banca Popolare di Verona e Novara
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA - SCIOPERO RIGUARDANTE SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI - CRUMIRAGGIO INTERNO - CONDOTTA ANTISINDACALE - SUSSISTENZA


La FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiana) di Reggio Emilia ha indetto uno sciopero dei dipendenti della Banca Popolare di Verona e Novara delle agenzie della provincia di Reggio Emilia con modalità "a pacchetto" - da tenersi cioè in tre distinte giornate del gennaio 2004 - per il quale ha inoltrato unico preavviso, secondo l'accordo sindacale preso dalle parti in attuazione dell'art. 2 della l. n. 146/1990. In una qualche misura la singolarità della fattispecie concreta ha da un lato indotto il ricorso e dall'altro motivato il decreto di condanna: la Banca -difatti- dopo aver constatato con il primo sciopero che l'adesione dei propri dipendenti reggiani era numerosa, ha fatto, in occasione dei successivi, ricorso al cosiddetto crumiraggio interno comandando al lavoro nelle filiali reggiane lavoratori provenienti da altre province. L'organizzazione sindacale ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 28 St. Lav. sostenendo che tale comando, in genere ritenuto legittimo in occasione di scioperi non disciplinati dalla l. 146/1990, debba ritenersi invece non dato - e comunque antisindacale in quanto limitativo del diritto di sciopero - ai datori di lavoro che prestano servizi pubblici essenziali proprio perché, mentre la normativa speciale si propone di tutelare non i datori di lavoro ma gli utenti, e nel "rispetto del diritto di sciopero", attraverso l'onere del preavviso (imposto inderogabilmente dalla legge) il datore di lavoro, conoscendo in anticipo la data dello sciopero, sarebbe in condizione, con il ricorso al crumiraggio interno, di vanificarne gli effetti. Richiamati i principi generali in materia di legittimo ricorso al "crumiraggio interno", il Tribunale del lavoro di Reggio Emilia ha sottolineato la duplice peculiarità della fattispecie concreta consistente da un lato nel fatto che lo sciopero aveva delimitazione territoriale notevolmente ridotta rispetto all'area pluriregionale di operatività del datore di lavoro, dall'altro nel non prevedere, l'accordo sindacale di regolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero della categoria, il mantenimento di presidi lavorativi durante le iniziative di sciopero (i diritti degli utenti sono infatti tutelati con previsione di durata massima dello sciopero e garanzia di piena operatività della banca al mercoledì o, se questo sia festivo, al giovedì). Ed è in forza di queste stesse peculiarità che la condotta datoriale è stata ritenuta antisindacale: il Giudice, negando che il datore di lavoro abbia potuto avvantaggiarsi del preavviso di sciopero, ha equiparato a personale esterno (al quale la giurisprudenza prevalente non consente ricorso per sostituire lavoratori in sciopero) il personale che, pur dipendente dalla Banca, era tuttavia ordinariamente al lavoro in territorio e in unità produttive non interessate dallo sciopero. Si tratta di opzione interpretativa, avverte il decreto, "in linea con le finalità dell'intervento legislativo e negoziale che, pur teso a garantire diritti di terzi di pari rilievo e dignità costituzionale, di fatto, ponendo dei limiti dell'esercizio dello sciopero, inevitabilmente finisce per agevolare in qualche modo anche il soggetto passivo di tale diritto e cioè il datore di lavoro" così che proprio per evitare tale agevolazione "la norma legislativa e la regolamentazione negoziale esigono una interpretazione rigorosa che tenga conto delle diverse tipologie di sciopero (diritto che deve essere rispettato, ex articolo 2 della legge n. 146/1990): ed è di chiara evidenza come uno sciopero territoriale potrebbe in concreto essere totalmente vanificato ove si ammettesse la possibilità datoriale di distaccare temporaneamente nel territorio negli stabilimenti interessati dallo sciopero personale proprio, ma operante stabilimenti non interessati dallo scioperos




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 26/04/2004
Giudice: Strozzi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 204/04
Parti: FILT-CGIL / Autolinee dell'Emilia SpA
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA - CONDOTTA ANTISINDACALE - REQUISITO DELL'ATTUALITA' - PREMANENZA DEGLI EFFETTI: SUFFICIENZA - ORDINE DI SERVIZIO CHE IMPONE DI COMUNICARE I NOMINATIVI DEI PARTECIPANTI ALLO SCIOPERO: ILLEGITTIMITA'


In occasione di uno sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali l'Azienda che gestisce in Reggio Emilia e provincia il servizio di trasporto pubblico per le persone ha pubblicato nelle bacheche aziendali un ordine di servizio con il quale si prescriveva che "il personale che aderisce allo sciopero è tenuto a comunicarlo, all'inizio dello stesso, alla sala operativa... indicando cognome e turno assegnato", e ciò al dichiarato fine di poter organizzare nel migliore dei modi la sostituzione dei lavoratori in sciopero. Il Tribunale del lavoro di Reggio, a seguito di denuncia di comportamento antisindacale, ha preliminarmente respinto la (consueta) eccezione di difetto di attualità, motivata nel caso di specie anche dalla sopravvenuta revoca dello sciopero per cui era causa, dando rilievo (anche) al fatto che nelle more del procedimento era sopravvenuto un ulteriore identico ordine di servizio relativamente ad altro sciopero e ravvisandovi "precisi elementi (cfr. Cass. Lav. n. 1684/2003) per ritenere che, pur esauritasi la singola azione lamentata lesiva, gli effetti della stessa permangano e siano suscettibili di perdurare nel tempo, vuoi per la portata dell'azione medesima, vuoi per la situazione di conflitto e incertezza derivatane, già in sé atta a restringere o ostacolare in qualche modo il libero esercizio di un diritto costituzionalmente garantito". Nel merito ha ritenuto tale ordine di servizio censurabile per proporsi di attenuare le conseguenze di danno dell'iniziativa di sciopero attraverso la collaborazione coatta degli stessi lavoratori che allo sciopero intendevano aderire. La decisione appare del tutto condivisibile, non già e non tanto perché sia inibito al datore di lavoro cercare di ovviare alle conseguenze negative che lo sciopero si propone di provocare, quanto piuttosto per il fatto che una volta che si riconosca come legittimo lo sciopero che, nel rispetto della disciplina dettata dalla legge n. 146/1990, abbia come effetto anche quello di rendere difficile la "difesa" datoriale ( naturale ed inevitabile conseguenza della inesistenza di un obbligo legale che imponga a ciascun lavoratore di dare preventiva o contestuale comunicazione della propria adesione), la decisione del datore di lavoro di imporre unilateralmente tale obbligo di comunicazione si qualifica ulteriormente come antisindacale nella misura in cui sollecita la collaborazione proprio di quelli dei lavoratori che abbiano deciso di aderire allo sciopero a rendere meno efficace la loro stessa iniziativa




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 29/03/2002
Giudice: Sorgi
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: S.L.C. - CGIL / TELECOM ITALIA SPA
TRIBUNALE DI FORLì - TRASFERIMENTO COLLETTIVO - OMESSA RICHIESTA DI NULLA OSTA PER IL DIRIGENTE R.S.A. - ANTISINDACALITA': SUSSISTENZA


Nell'ambito di un piano di ridefinizione dell'assetto organizzativo che prevedeva la riduzione del numero delle sedi di Assistenza Operativa Clienti (AOC) ed una soppressione delle sedi di centro di accoglienza (CDA), Telecom Italia SpA provvedeva al trasferimento da Forlì a Ravenna anche di un dirigente di RSA, membro del Comitato Direttivo della SLC-CGIL di Forlì. Ciò avveniva senza tener conto degli impegni di informazione e negoziazione assunti dall'azienda con un verbale di accordo del marzo 2000 e senza preventivamente richiedere, e conseguentemente ottenere, il nulla-osta previsto dall'art. 22 dello Statuto dei lavoratori. La SLC conseguentemente denunciava per comportamento antisindacale l'azienda. Il Giudice del lavoro di Forlì accoglieva il ricorso sotto il secondo profilo (ritenendo, quanto al primo, che fosse stato comunque rispettato il criterio del decentramento dell'informazione) respingendo la tesi della Telecom Italia dell'insussistenza di un vero e proprio trasferimento "in senso tecnico", in quanto nel contesto della ristrutturazione l'articolazione produttiva si sarebbe modificata mediante l'unificazione delle realtà di Forlì e Ravenna, e comunque che l'art. 22 non troverebbe applicazione in caso di trasferimenti collettivi. Secondo il Tribunale, invece, «il riferimento territoriale deve considerarsi un dato rilevante e che nulla abbia a che vedere con l'unità produttiva». Quanto al secondo aspetto il magistrato, dopo aver rilevato che solo i dipendenti di un'articolazione produttiva erano stati trasferiti da Forlì a Ravenna, mentre tutti gli altri dipendenti dell'unità produttiva di Forlì erano rimasti nella sede originaria, ha accertato che «… conseguentemente, il dirigente sindacale ha visto spezzato il rapporto con la propria base, almeno con tutti quelli che sono rimasti a Forlì». Per questi motivi il Tribunale del lavoro di Forlì ha dichiarato l'antisindacalità della condotta di Telecom Italia SpA, ordinando la sua cessazione mediante la revoca del trasferimento del dirigente sindacale




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 22/06/2001
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: Fiom-CGIL /Fava Giorgio Axel s.r.l.
TRIBUNALE DI PARMA - ASSEMBLEA RETRIBUITA CONCESSA (O PROMOSSA?) DAL DATORE DI LAVORO AL FINE DI SOSTITUIRE IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI ELETTO DA UN'ASSEMBLEA CONVOCATA DALLE OO.SS. PROVINCIALI - ANTISINDACALITA.


Presso una piccola impresa metalmeccanica, nella quale non esiste R.S.U., un'assemblea dei dipendenti , convocata dalle OO.SS. provinciali, procede all'elezione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. Questi prende a svolgere le sue funzioni; ma dopo poco comincia a ricevere contestazioni disciplinari (alcune delle quali sfociano in sanzioni, di poi, però, non applicate). Un certo giorno l'impresa riceve (così essa asserisce) la richiesta di alcuni lavoratori di sostituire lo R.L.S.; subito affigge un comunicato con il quale "concede" un'assemblea retribuita, avente ad oggetto la sostituzione dello R.L.S., fissandone il giorno e l'ora di effettuazione. L'assemblea si svolge senza la partecipazione di alcun rappresentante delle OO.SS. provinciali; il … decano dei dipendenti assume la presidenza; annuncia che c'è da scegliere tra lo R.L.S. in carica e altro dipendente; si volge qualche discussione perché qualche lavoratore … non ci sta; ma alla fine la maggioranza vota per il nuovo candidato, subito "riconosciuto" dall'impresa datrice di lavoro. Il ricorso ex art. 28 S.L. proposto qualche giorno dopo dalla FIOM-CGIL denuncia il comportamento antisindacale consistito: a) nell'assoggettare a procedimenti disciplinari ingiustificati il primo R.L.S.; b) nel convocare l'assemblea retribuita nel corso della quale lo si è sostituito. La convenuta si difende dicendo ben giustificate le contestazioni e le sanzioni e asserendo, quanto all'assemblea, che ha solo consentito ad un esercizio di democrazia diretta da parte di lavoratori. Il Tribunale, senza assumere informazioni d'alcun genere, respinge la domanda sotto il primo profilo, sostanzialmente dichiarando inesistente la prova della pretestuosità delle contestazioni disciplinari; lo accoglie, invece, sotto il secondo profilo, dichiarando che "la società convenuta non aveva alcun potere in ordine alla richiesta avanzata … da un gruppo di suoi dipendenti, non potendo dare corso alle censure dei lavoratori avverso l'operato" dello R.L.S. in carica e "non potendo sostanzialmente convocare (esso una nuova) assemblea", fissandone il giorno e lo scopo, "dovendosi riconoscere tali funzioni in capo alle organizzazioni sindacali". Al riguardo delle proteste di alcuni dipendenti, infatti, esso datore di lavoro doveva tenere una "posizione di estraneità". Tanto ritenuto, e considerato che non occorreva accertare "uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro", trattandosi di comportamento che "led(e) oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le OO.SS.", il Tribunale dichiarava invalida l'ultima assemblea e la "conseguente elezione del nuovo R.L.S." ed ordina alla convenuta "di riconoscere quale unico legittimo R.L.S." il primo eletto. Volendo sintetizzare al massimo, l'affermazione in diritto è la seguente: che tiene un comportamento antisindacale il datore di lavoro il quale, ricevuta la richiesta di un gruppo di suoi dipendenti di poter sostituire lo R.L.S. eletto nel corso di un'assemblea convocata e gestita dalle OO.SS. provinciali, non mantiene, di fronte a tale richiesta, una posizione di estraneità e consente, invece, senza richiesta delle stesse OO.SS., ad un'assemblea retribuita avente ad oggetto la nomina di un nuovo R.L.S




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 07/03/2001
Giudice: Vignati
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: SLT-CGIL e FISTEL-CISL / Telecom S.p.A
TRIBUNALE DI RAVENNA - MOBILITA' INTERREGIONALE DI LAVORATORI - VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI CONSULTAZIONE E/O INFORMAZIONE E/O NEGOZIAZIONE PREVISTI DA ACCORDI SINDACALI - ANTISINDACALITA' - INSUSSISTENZA.


Con accordo sindacale 28 marzo 2000, sottoscritto presso il Ministero del Lavoro e relativo all'attuazione di un piano "di Sviluppo e Riorganizzazione", la Telecom SpA si impegnava con le OO.SS ad un esame congiunto, a livello sia nazionale sia territoriale, sui profili pratico-attuativi dello stesso, che comportava conseguenze a carico di un notevole numero di dipendenti interessati da provvedimenti di trasferimento, impegnandosi altresì a verificare e monitorare, congiuntamente con le OO.SS., lo stato di attuazione del piano mediante la prevista costituzione di commissioni tecniche paritetiche. Tra le parti venivano inoltre stipulati due ulteriori accordi, relativi ad ulteriori aspetti dello stesso piano di riorganizzazione aziendale, e finalizzati in particolare alla gestione di una procedura di mobilità ai sensi della legge n.223/91, riguardante 5.300 esuberi, e la collocazione in CIG di un altrettanto rilevante numero di unità lavorative. Dopo una serie di incontri - seguiti alla chiusura del confronto su mobilità ex legge n.223/91 e collocazione in CIG - ritenuti dall'azienda esaustivi degli obblighi sanciti dall'Accordo del 28 marzo 2000, la stessa procedeva ad affiggere presso le diverse sedi interessate (in particolare a Rimini e Ravenna) le liste dei lavoratori oggetto di provvedimenti di mobilità infraregionale (in particolare di trasferimento a Bologna) e successivamente a dare attuazione unilaterale ai provvedimenti stessi. Le OO.SS. denunciavano tale condotta come antisindacale presso i Giudici del lavoro delle due provincie interessate, pur nella diversità delle situazioni (mentre a Rimini era stato chiuso il Centro Supervisione presso il quale erano occupati tutti i tecnici trasferiti, a Ravenna il trasferimento aveva riguardato solo 4 nominativi su un organico di 10 dipendenti) lamentando in particolare il fatto che, nonostante le espresse richieste, non era stato consentito un esame congiunto della situazione con i responsabili delle due principali aree interessate dal processo di riorganizzazione (Rete e mercato) in un unico tavolo di confronto. Tale condotta veniva, dunque, indicata come quella integrante la violazione dell'obbligo di consultazione e/o negoziazione, essendo mancata l'opportunità per le OO.SS. di conoscere, rispetto alle prospettate esigenze di ricollocazione territoriale del personale, nel loro intreccio i dati della mobilità e della collocazione in CIG. Ciò anche al fine di evitare in tutto o in parte i trasferimenti mediante percorsi di riconversione professionale del personale, espressamente previsti dall'accordo. Mentre il Giudice di Rimini ha dichiarato che "la pretesa della Telecom dell'esame differenziato in relazione alle strutture (Rete o Mercato Italia) di volta in volta interessate dalle ricadute delle iniziative organizzative non sia di per sé irragionevole", il Giudice di Ravenna ha ritenuto che l'aspettativa di dibattito congiunto "oltre ad avere non vaga radice nello stesso tenore letterale e logico dell'accordo del 28 marzo 2000, fa realmente capo ad un diritto di libertà delle OO.SS. sancito nella fonte pattizia con esaustivo riferimento ad una procedura di confronto, estesa anche alle modalità tecniche…e da compiersi nel giro di quaranta giorni, indubbiamente decorrenti, una volta completato l'esame sulle linee politiche del piano, dal preciso momento in cui l'Azienda avesse compiutamente esternato i propri concreti propositi sulle mobilità infraregionali, ossia le iniziative che l'Impresa avrebbe tendenzialmente assunto dopo quei quaranta giorni". Per queste ed altre ragioni i due magistrati sono pervenuti ad opposte conclusioni: da un lato il Giudice di Rimini ha infatti dichiarato "l'insussistenza delle condotte sindacali denunciate" mentre il Giudice di Ravenna ha accolto il ricorso affermando questo principio: "La condotta realmente sanzionabile, per attualità e sviluppo lesivo, è rappresentata dalla offesa al diritto di libertà sindacale (di fonte pattizia) di poter partecipare, come formazione esponenziale degli interessi dei propri rappresentati, ad un procedimento volto, per espressa volontà di contratto, a consentire il confronto in ordine a tematiche coinvolgenti l'effettiva dislocazione del personales




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 31/07/2000
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento: -
Parti: UGL; FAILP-CISAL; CISL-SLP; USPPI; SLC-CGIL; UIL-Post Comunicazione / Poste Italiane S.p.A.
TRIBUNALE DI PARMA - REVOCA UNILATERALE DELLE FERIE A SEGUITO DI ACCORDO SINDACALE SUL PUNTO - ANTISINDACALITA' - SUSSISTENZA.


Dopo aver sottoscritto all'inizio dell'estate (2 giugno 2000) con le OO.SS. un'intesa avente ad oggetto la fruizione da parte dei propri dipendenti di periodi di ferie (già programmati o programmati al momento di tale intesa), Poste Italiane SpA inviava, all'inizio del mese di luglio, ai portalettere di numerose Agenzie dell'Emilia Romagna - che di settimana in settimana si accingevano ad assentarsi per le vacanze - una comunicazione di "revoca" delle ferie concordate "in considerazione delle particolari esigenze di servizio intervenute" ovvero "per esigenze di servizio intervenute stante la grave situazione del recapito". La società invocava il diritto del datore di lavoro di riprogrammare le ferie in relazione ad una situazione emergenziale di grossa giacenza ("tonnellate di posta") ma il Giudice ha ritenuto che essa non poteva essersi prodotta, imprevedibilmente ed inaspettatamente, nel breve lasso di tempo successivo alla stipula dell'intesa, ponendosi quindi il problema se la società avesse effettivamente adempiuto agli obblighi assunti con l'accordo del 2 giugno e se - in caso di risposta negativa - tale inadempimento integrasse gli estremi della condotta antisindacale . Il Tribunale perveniva alla conclusione che nel caso di specie vi fosse stato effettivo inadempimento ed accoglieva conseguentemente il ricorso delle OO.SS. ritenendo "principio condivisibile quello secondo il quale la violazione di un accordo sindacale costituisce comportamento antisindacale qualora sia tale da screditare il sindacato davanti ai lavoratori (v. ad es. Trib. Milano 13.11.1992; Pret. Milano 28.1.1992; Pret. Milano 8.1.1990; Pret. Roma 21.10.1993; Pret. Roma 24.5.1989; Pret. Roma 1.6.1989; Pret. Bologna 2.4.1986)




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 12/08/2000
Giudice: Lauletta
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento: -
Parti: Marco R. / INPS e INAIL
TRIBUNALE DI FERRARA - AGITAZIONE SINDACALE CONSISTENTE NEL BLOCCO DI QUALSIASI PRESTAZIONE STRAORDINARIA E AGGIUNTIVA - PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI CHE VI HANNO ADERITO - ANTISINDACALITA' - SUSSISTENZA.


Per contrastare le forme di lotta proclamate a livello regionale dalle OO.SS. di categoria, consistenti, tra l'altro, nel blocco di qualsiasi prestazione straordinaria e aggiuntiva (ed in particolare nel rifiuto per i portalettere di aderire alla sistematica richiesta di effettuare la consegna della corrispondenza in zone ulteriori rispetto a quelle di propria competenza) Poste Italiane SpA irrogava provvedimenti disciplinari ai dipendenti che avevano aderito all'agitazione. Di qui la denuncia per antisindacalità in diverse città dell'Emilia Romagna. Il sindacato di Ferrara aveva impostato il proprio ricorso evidenziando in particolar modo come, per carenza di organico, la richiesta ai portalettere di "coprire" anche una zone limitrofa rispetto a quella allo stesso normalmente assegnata comportava quasi sempre il superamento dell'orario di lavoro, e quindi che le prestazioni supplementari dovevano considerarsi lavoro straordinario; la società Poste Italiane pur avendo usato questo aggettivo in propri passaggi, contestava la circostanza. Il Giudice di Ferrara considera «non obbiettivamente chiaro» (ma in fondo irrilevante) «se il lavoro in discorso dovrebbe svolgersi nell'ambito delle sei ore giornaliere e nelle trentasei ore settimanali, pattuite contrattualmente, oppure al di fuori di tali orari». Ritiene invece «dato acquisito, in quanto affermato da parte ricorrente e non smentito dall'antagonista, che questo lavoro extraterritoriale determinerebbe un piccolo beneficio economico per i lavoratori in esso impiegati». Il datore di lavoro aveva considerato il rifiuto di svolgere le prestazioni aggiuntive o supplementari un inadempimento contrattuale, e conseguentemente aveva irrogato ai propri dipendenti che tale rifiuto avevano opposto pesanti sanzioni disciplinari (sospensione dal lavoro e dalla retribuzione). Il Giudice, dopo aver riconosciuto che «secondo gli schemi privatistici il dipendente non può astenersi, in tutto o in parte, dal lavorare: non può astenersi a titolo individuale, sarebbe inadempiente a un'obbligazione contrattuale e, trattandosi di rapporto di lavoro appunto dipendente, sarebbe oggetto di atti disciplinari» ha però precisato che «tutto cambia quando l'astensione del lavoro è organizzata collettivamente, insomma è uno sciopero (…) e, come è noto, con l'avvento della Costituzione repubblicana lo sciopero non soltanto ha cessato di essere un fatto illecito, ma è diventato anche più di una facoltà; costituisce un diritto, e sanzioni per l'esercizio di un diritto sono, addirittura, contrari alla logica giuridica». Di qui l'assoluta evidenza, per il Giudice di Ferrara, nel caso in esame della doverosa applicazione dell'art. 28 dello Statuto con riferimento a "comportamenti diretti a impedire o limitare l'esercizio … del diritto di sciopero". A ciò si aggiunga che «poiché lo sciopero era stato proclamato dal sindacato, le sanzioni con cui l'azienda ha colpito chi aveva seguito il proclama di esso hanno costituito palesemente, a prescindere dall'intento soggettivo, "comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale"» Di opposto avviso si è mostrato il Giudice di Bologna in identica fattispecie, considerando quell'astensione dal lavoro non già uno sciopero con contestuale perdita di retribuzione, ma «una non accettazione da parte dei dipendenti del modello organizzativo del lavoro proposto dall'azienda» che si sarebbe tradotto in una «inosservanza delle disposizioni impartite dall'azienda in materia di orario di lavoro e, dunque, in un inadempimento contrattuale inidoneo a determinare una decurtazione retributiva». La decisione, basata sul presupposto di fatto, più volte ribadito, della "non decurtazione retributiva", suscita alcune perplessità essendo vero, al contrario, che - come accertato dal Giudice di Ferrara - la prestazione aggiuntiva in una zona ulteriore trova uno specifico compenso (nel caso di specie il magistrato bolognese non ha ritenuto di assumere sommarie informazioni o di interrogare sul punto le parti presenti - nonostante la produzione di una busta paga che comprovava detto emolumento - ed ha invitato i difensori alla discussione della causa alla prima udienza sulla base dei soli scritti difensivi). Lo stesso Giudice ha poi considerato irrilevante anche la circostanza che spesso per effettuare la prestazione aggiuntiva i portalettere si vedono costretti a superare l'orario giornaliero di lavoro, affermando testualmente che «la pretesa dei dipendenti di lavorare sei ore giornaliere e di non superare tale orario giornaliero non costituisce allora astensione dal lavoro, ma negazione del potere datoriale di organizzazione e strutturazione dell'orario di lavoro e, quindi, inadempimento contrattuale». Invero l'affermazione appare un po' troppo lapidaria non essendo affatto, secondo le vigenti disposizioni normative e contrattuali, la materia dell'organizzazione e strutturazione dell'orario di lavoro di esclusiva competenza datoriale




Tribunali Emilia-Romagna > Comportamento antisindacale
Data: 24/12/2008
Giudice: Angelini Chesi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: -
Parti: T. NADIA E M. VALERIA / INPS
DIRITTO DI INDIRE E SVOLGERE ASSEMBLEE DURANTE L' ORARIO DI LAVORO


Con ricorso depositato il 26 settembre 2006 le OO.SS. del settore tessile di Forlì lamentavano la violazione del combinato disposto dell’art. 20 St. Lav. e 19 CCNL di settore da parte di una società che aveva negato lo svolgimento dell’assemblea in orario di lavoro richiesta congiuntamente dalle tre sigle sindacali in data 1 settembre 2006 per la data del 26 successivo. I ricorrenti allegavano la comunicazione del diniego del datore di lavoro evidenziando la gravità delle affermazioni ivi contenute, idonee ad avvilire il ruolo delle organizzazioni sindacali e chiedevano l’accertamento del diritto di indire e svolgere le assemblee in questione.

Si costituiva la società deducendo sia la mancanza di RSA all’interno dell’azienda - e conseguentemente l’inoperatività dell’art. 20 stat. lav. - sia la mancata adesione dell’impresa al CCNL di settore e dunque l’irrilevanza della disciplina ivi  contenuta che consente, quale condizione di miglior favore rispetto alla disciplina statutaria, anche  alle OO.SS territoriali la possibilità di indire le assemblee. La società eccepiva altresì la mancata sottoscrizione della richiesta di assemblea da parte della UGL in veste di contraente collettivo in ossequio alla unitarietà delle iniziative sindacali.

Con decreto del 16 ottobre 2006 il ricorso veniva rigettato sul presupposto della mancanza di prova circa l’effettiva applicazione del CCNL in questione. 

Contro tale decisione in data 31 ottobre 2006 veniva proposto ricorso in opposizione e la causa veniva istruita con l’audizione di alcuni testimoni e con l’ordine alla società di esibizione di tutti i contratti individuali di lavoro per verificare se negli stessi vi fosse o meno un richiamo al CCNL (nella propria difesa, infatti, la società aveva prodotto solo un limitatissimo numero di detti contratti privi di detto riferimento). La società ometteva di ottemperare al provvedimento. Nel corso del processo, infine il Giudice disponeva l’acquisizione ex art. 421 c.p.c. di due contratti di lavoro conclusi dalla società rispettivamente nei mesi di luglio e ottobre 2004 dei quali era venuto a conoscenza per ragioni di ufficio: in un diverso giudizio, infatti, la medesima società aveva invocato proprio l’applicazione del CCNL per corroborare il licenziamento irrogato a due lavoratrici..

Con sentenza del 24 dicembre 2008  il Tribunale di Forlì, revocando il decreto reso ai sensi dell’art. 28, accoglieva la domanda delle OO.SS pervenendo ad una diversa valutazione rispetto al primo giudice sulla questione dirimente, della ricezione o meno del CCNL, valutando sia il comportamento processuale della convenuta sia soprattutto per la rilevanza dei due contratti prodotti, atteso che “il contratto collettivo di lavoro è un contratto aperto alla adesione di altri soggetti non iscritti alle associazioni stipulanti, che può essere sia implicita che esplicita, come quanto possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole.

Rispetto all’eccezione in merito alla mancata sottoscrizione della UGL alla richiesta di indizione dell’assemblea, il Giudice la riteneva del tutto infondata poiché, come emergeva dal testo del CCNL integralmente prodotto, la UGL non era neanche parte contraente (tale organizzazione aveva, infatti, sottoscritto un separato contratto, seppure di identico contenuto).

Sulla base delle argomentazioni riportate il Tribunale di Forlì riteneva fondata la pretesa attorea e conseguentemente il diritto delle OO.SS ricorrenti di convocare le assemblee di cui all’art. 20 stat. lav., affermando che “il negare l’esplicazione di uno dei più significativi diritti sindacali (quello di assemblea, momento in cui si forma l’elemento fondamentale della coscienza sindacale e si può prendere atto della stessa misura dell’impegno collettivo) integra senz’altro gli estremi della condotta antisindacale. A quanto detto deve aggiungersi che la società si è posta in netta contrapposizione alle richieste sindacali, con una laconica risposta che non lasciava spazio ad ulteriori interlocuzioni(..Siamo conseguentemente a comunicare che non consentiamo lo svolgimento dell’assemblea..), il che accresce la portata lesiva della sua condotta. Ancora, lo stesso lasso di tempo intercorso tra la richiesta e la risposta (almeno dieci giorni.. ) pare elemento in sé offensivo, bene potendo questa latenza, soprattutto alla luce del tenore della risposta, essere percepita dai suoi destinatari e dalla collettività dei lavoratori come dimostrazione di poca considerazione da parte del datore di lavoro”.

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